Le micorrize: fisiologia e applicazioni
Domenico Prisa:
CREA Research Centre for Vegetable and Ornamental Crops, Council for Agricultural Research and Economics, Via dei Fiori 8, 51012 Pescia, PT, Italy

Keywords: funghi, simbiosi, radici, qualità delle piante, biocontrollo, competizione

Le micorrize e il suolo
Le micorrize sono associazioni mutualistiche diffuse tra funghi e radici delle piante. Questo legame fra la pianta e il microrganismo si manifesta con una fitta rete di ife associate alle radici, ciò aumenta la loro efficienza in termini di assorbimento di acqua e nutrienti, stimolando quindi la
crescita della pianta. Ad oggi solo una piccola percentuale di piante è stata studiata per questo fenomeno (il 5% delle monocotiledoni e il 23% delle dicotiledoni), ma è ragionevole credere che tutte le piante terrestri possano essere caratterizzate da questo tipo di simbiosi.
La micorrizazione si iniziò a comprendere circa 100 anni fa, il termine venne coniato da FranK (1885) che segnalò la presenza di particolari strutture nelle piante. Oltre a descrivere la morfologia Frank capì il ruolo fisiologico delle micorrize.
I funghi organismi eterotrofi per le loro funzioni vitali devono attingere sostanza organica da altri microrganismi, nelle micorrize, il fungo preleva le sostanze organiche dalla pianta e mette a disposizione acqua, sali minerali ed altre sostanze utili che riesce ad attingere dal terreno.

Il rapporto simbiotico si realizza generalmente tramite gli apici radicali, le radici secondarie sono quelle coinvolte nel rapporto simbiotico perché ricche di capillizio e specializzate nell’assorbimento di nutrienti dal terreno (Harley, 1959; Garret, 1963).
In base al grado di simbiosi e alla posizione del fungo rispetto alle cellule radicali si possono distinguere tre tipi di micorrize:
1. Le ectomicorrize in cui il fungo non penetra all’interno delle cellule vegetali, avvolge completamente l’apice radicale fino a formare un mantello e lo scambio di sostanze nutritive tra fungo e pianta avviene a livello di alcune ife che si insinuano a livello delle cellule della corteccia radicale;
2 .Nelle endomicorrize, il micelio del fungo penetra all’interno sia delle cellule vegetali che di quelle radicali. La presenza di questo tipo di micorrize non è rilevabile a occhio nudo, ma sezionando la radice solo al microscopio. il fungo si nota per la presenza di strutture ramificate molto sottili, gli arbuscoli, che sono responsabili degli scambi nutrizionali tra i due simbionti.
3. Le ectoendomicorrize che presentano caratteri intermedi.
Le endomicorrize “arbuscolarì” (AM) rappresentano il più comune tipo di micorriza e si riscontrano in molte specie vegetali, sia coltivate sia spontanee (erbacee, ortive, da frutto, forestali, tropicali, orchidee e perfino pteridofite e briofite). Le AM sono prodotte da numerose specie di funghi
bìotrofì appartenenti all’ordine delle Glomales (Zygomycetes). A parte alcune eccezioni, generalmente non vi è specificità di rapporto tra fungo e pianta ospite (Iaccarino, 2006).


Fig.1 Particolare di radici micorrizate

http://www.lagottoetartufi.it/le_micorrize.htm


La relazione tra pianta e micorriza
La relazione che lega la pianta micorrizata e il fungo apporta notevoli vantaggi ad entrambi.
Nella pianta micorrizata è evidente un migliore assorbimento dell’acqua e una più efficiente assunzione degli elementi minerali, grazie allo sviluppo delle ile fungine che garantiscono alle radici di poter esplorare e assorbire acqua e sali minerali da un volume di suolo notevolmente maggiore, raggiungendo zone che normalmente la radice non riesce a raggiungere. Le micorrize sono inoltre in grado di solubilizzare e assorbire per la pianta forme minerali normalmente insolubili, modificando quindi concentrazione di elementi minerali realmente disponibili.(Burton, 1964)
La micorrizazione determina un ritorno di sostanza organica al suolo e favorisce un maggior rilascio di azoto, fosforo e potassio. La migliore nutrizione minerale (soprattutto fosfatica) favorisce una miglior crescita della pianta che si nota soprattutto nei terreni che scarseggiano di minerali. Le piante micorrizate inoltre hanno la capacità di tollerare meglio gli stress ambientali (Fred et al.,1964).
La pianta, a loro volta cedono al fungo zuccheri semplici prodotti attraverso la fotosintesi e composti organici elaborati dalla cellula vegetale. Il fungo, grazie alla simbiosi, è in grado di completare il proprio ciclo vitale, e nel caso delle ectomicorrize, di formare i corpi fruttiferi. Dalle mìcorrìze si sviluppano poi nuove ile che vanno a colonizzare il terreno circostante e anche le nuove radichette emesse dalla pianta o quelle di altre piante vicine. Il ciclo di attività delle mìcorrize segue quello della pianta: in primavera, con la ripresa vegetativa, le micorrize riprendono a crescere e continuano per tutta l’estate se le condizioni del terreno si mantengono favorevoli. All’arrivo dell’inverno le micorrize riducono l’attività metabolica per affrontare la stagione avversa e, quelle che riescono a superarla, alla primavera successiva riprenderanno il loro sviluppo (Lima, 2009).
Le micorrize possono incrementare le proprietà nutraceutiche dei frutti delle piante trattate. In uno studio di (Giovannetti et al., 2011) su pomodoro si evince un incremento di licopene , calcio, potassio, fosforo e zinco e un potere anti- estrogenico rispetto alle piante normalmente trattate.
Fig.2- Radici micorrizate a destra e non a sinistra


http://www.arboricoltura.info/informazioni-scientifiche-e-tecniche-sulle-micorrize/


Fisiologia ed ecologia delle micorrize
L’intensità dell’infezione micorrizica può variare in base alla tipologia di suolo. La formazione di radici micorriziche è favorita da condizioni di carenza in elementi nutritivi, in particolare l’azoto e da un’intensa attività fotosintetica. Quindi il contenuto in glucidi delle radici rappresenta un fattore importante per favorire l’infezione micorrizica.(Bitardondo et al, 2002)
Diversi fattori biologici e biochimici del suolo possono influire sulla formazione delle micorrize; fra questi si annoverano le azioni di stimolo o inibizione da parte di microrganismi presenti in prossimità delle radici e la presenza di sostanze che inibiscono la crescita dei funghi micorrizogeni.
La maggior parte dei funghi capaci di produrre micorrize ectotrofe appartengono ai basidiomiceti, specialmente alle Agaricaceae e Boletaceae. Cenococcum graniforme è capace di formare micorrize con specie appartanenti ad oltre 15 generi, viceversa Boletus elegans produce micorrize solo con il genere Larix (Allen, 2000).
La micorriza rappresenta un’associazione mutualistica dalla quale tanto le piante quanto il microrganismo traggono dei benefici. Le micorrize presentano un indubbio interesse, poiché esse hanno un significato talvolta decisivo in alcuni problemi selvicolturali, quali l’introduzione di nuove specie di piante, il rimboschimento, la rinnovazione e la produzione di piante in vivaio.(Bowen e Rovira, 1969)
I terreni di bosco contengono di solito, sia sotto forma di spore che di micelio attivo, i funghi micorrizogeni, per cui nel rimboschimento dei suoli forestali la formazione delle micorrize generalmente non incontra ostacoli, a meno che fra il taglio del bosco e il successivo rimboschimento non si siano verificati mutamenti radicali nell’equilibrio microbiologico del terreno e tali da ostacolare il formarsi dell’associazione.
Fig.3- Apici radicali colonizzate dalle micorrize

https://it.wikipedia.org/wiki/Micorriza


Vantaggi ottenibili con l’uso delle micorrize
La pianta micorrizata ha la capacità di svilupparsi in maniera ottimale anche nei terreni poveri di nutrienti o situazioni sfavorevoli. La simbiosi può garantire diversi benefici:

  • Aumento dell’assorbimento da parte delle radici azoto organico (Broadbent e Clark, 1969);
  • Riduzione degli stress termici, idrici, salini e di quelli da trapianto;
  • Miglioramento della struttura del suolo;
  • Aumento della resistenza delle piante all’attacco dei nematodi;
  • Aumento dell’assorbimento del fosforo da parte delle piante;
  • Completamento del ciclo vitale di alcuni funghi;
  • Aumento delle proprietà nutraceutiche dei prodotti e delle sostanze aromatiche;
  • Aumento dello sviluppo radicale delle piante e incremento della resistenza a malattie di origine fungina e batterica;
  • Maggiore disponibilità di vitamine e carbonio per i microrganismi;
  • Abbattimento dei metalli tossici presenti nel suolo;
  • Comunicazione tra le piante grazie alle reticolo di difesa nel suolo;
  • Difesa da funghi patogeni come: Armillaria, Sclerotinia, Fusarium e Pythium;
    Quando inoculare le micorrize e come farlo?
    Le micorrize si possono utilizzare in diverse fasi del ciclo colturale:
  • Al momento della semina se siamo di fronte a un prodotto polverulento possiamo mischiarlo al terriccio di semina o direttamente nei semi. Con un prodotto liquido possiamo spruzzare il
    tegumento o mettere a bagno le radici in acqua + il prodotto a base di micorrize per almeno un’ora;
  • Al momento del trapianto, è utile inoculare le micorrize nel terriccio della pianta e inserirle contemporaneamente nella buca (in polvere o tramite irrigazione) dove successivamente verrà messa a dimora la stessa;
  • Nelle piante a dimora le micorrize possono esse inserite tramite irrigazione nella zona radicale oppure praticando delle buche superficiale dove inserire le spore in formato polverulento.
    Consiglio di effettuare le inoculazioni anche in autunno e inverno, quando le competizioni con i batteri e funghi presenti nel suolo sono meno aggressive per via delle temperature.
    Come è possibile studiare le micorrize arbuscolari del suolo?
    La maggior parte delle piante agrarie possiede micorrize arbuscolari, ed i funghi interessati normalmente appartengono al gruppo di Zygomycetes, ordine Glomales.
    Per valutare l’infezione micorrizica si può utilizzare la colorazione differenziale delle radici (Phillips e Hayman, 1970) e la misura della percentuale di lunghezza radicale infetta (Giovannetti e Mosse, 1980). Per valutare il numero di spore presenti nel suolo ci si può basare sulla conta diretta dopo il lavaggio e il setacciamento del suolo (Gerdemann e Nicolson, 1963). Per la valutazione della infettività di un suolo si può fare riferimento alla determinazione del numero di propaguli infettivi presenti in un dato suolo (Porter, 1979)

Dott. Domenico Prisa

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